Il coma termico

Il coma termico

Il metabolismo delle api a basse temperature è stato studiato da J. B. Free e Y. Spencer-Booth (Chill-coma and cold death  temperatures of Apis MelliferaEntomologia Experimentalis et ApplicataVol. 3:3, pp. 222–230October 1960), che hanno indagato la soglia di coma termico (vale a dire, la più alta temperatura alla quale le api (individualmente) sono immobilizzate dal freddo) e di freddo mortale (cold-death), cioè la più alta temperatura alla quale le api sono uccise dal freddo. Il coma termico è uno stato che si registra abbastanza spesso in natura, per esempio quando api non riescono a rientrare la sera e sono sorprese da un freddo sufficientemente intenso da impedire loro di volare ma non abbastanza da ucciderle. Spesso riescono a riprendersi col sole del giorno successivo, oppure basta prenderle in mano che il calore trasmesso (magari con l’aggiunta di un po’ di acqua zuccherata) permette loro di riprendersi rapidamente.

Il metodo di studio consiste nel prendere della api —regine (accompagnate da 2 operaie), operaie e fuchi— singolarmente, acclimatizzarle a temperature di 20° oppure di 35° per 24 ore, con sufficiente cibo e acqua, e poi di trasferirle in provette in ambienti a basse temperature controllate, per poi accertare dopo un’ora se le api erano ancora in movimento, immobili ma in seguito capaci di muoversi (coma termico), o morte.

Coma termico: I risultati a partire da un’acclimatazione a 35°sono riportati nella seguente tabella:

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Le prime operaie (workers) entrano in coma termico a 12°, alcune sono ancora attive a 9°. I fuchi (drones) entrano in coma termico a temperature maggiori di quelle delle operaie: alcuni fuchi si immobilizzano già a 15°, e al di sotto di 11° non se ne muove più nessuno. Anche buona parte delle regine si immobilizza tra 10 e 12°. questo è coerente con il fatto che le operaie volano a temperature più rigide rispetto a quelle richieste da fuchi e regine.

Acclimatizzando le api per 24 ore a 20°, il coma termico sopravviene un po’ più tardi rispetto alle api mantenute a 35° prima dell’esperimento.

Per quanto riguarda la ripresa di attività dopo il coma termico: una volta tolte dalle loro provette e lasciate a temperatura ambiente, le api fatte entrare in coma termico dopo essere state acclimatizzate a 20° si sono risvegliate prima di quelle acclimatizzate a 35°. Api rimaste in coma termico per un’ora a 5° si sono risvegliate mediamente dopo 143 secondi a temperatura ambiente se provenivano dal gruppo acclimatizzato a 20°, e 324 secondi in media se acclimatizzate a 35°. Se la durata del coma termico (sempre a 5°) veniva prolungata a 5 ore, il tempo di risveglio si allungava a 325 e 488 secondi rispettivamente.

Per quanto riguarda la sopravvivenza dopo il coma: se la durata del coma è oltre 80 ore, ppochissime api sopravvivono, e anche la refrigerazione per 50 ore comporta una grande mortalità. In generale il freddo a 5° permette una migliore sopravvivenza rispetto a quello a 0° o 10°. Probabilmente ciò avviene perché a 0° l’uso dello zucchero nel sangue è disturbato e il contenuto zuccherino dell’intestino dell’ape non è più assimilato, mentre a 10° lo zucchero nel sangue è metabolizzato più rapidamente che a 5° e quindi le api terminano prima la loro riserva.

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I ricercatori hanno poi esaminato se l’età delle api comporti qualche differenza. Le api più giovani tendono ad entrare in coma prima delle api più vecchie, probabilmente perché le api più giovani sono programmate per passare il loro tempo vicino alle larve (dunque a temperature di circa 35°), mentre le api più vecchie, spesso sono all’esterno per il foraggiamento e quando rientrano nel nido sono lontane dalle zone dove sono allevate le larve. Questo comporta che il metabolismo delle api bottinatrici è più alto di quello delle api giovani, così come il metabolismo delle api acclimatate a 35° è minore di quello delle api acclimatate a 20°. I ricercatori hanno anche scartato l’ipotesi che sia il maggiore contenuto proteico del cibo delle api giovani ad essere causa di una resistenza minore al freddo, perché api giovani private delle proteine entrano in coma prima delle loro coetanee con la normale dose di proteine nel cibo.

Le api invernali tendono ad entrare in coma a temperature minori di quelle estive. Tuttavia, se vengono acclimatate a 35°, cioè alla stessa temperatura cui sono soggette le api estive, la differenza scompare. Anche in questo caso, dunque, la differenza nasce dal grado di attività metabolica.

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Gli esperimenti successivi riguardano la morte per freddo. I risultati sono riassunti nella tabella che segue. Le api (di nuovo, in due gruppi acclimatati a 20° e a 35°) sono state sottoposte a temperature inferiori a 0° per periodi di 30 minuti, 1 ora o 3 ore, mantenendole al riparo dall’umido per prevenire la formazione di ghiaccio sulle cuticole. Trascorso il periodo di congelamento, le api sono state rimesse a temperatura ambiente per 24 ore, per vedere quante si sarebbero riprese temporaneamente e quante invece sarebbero riuscite a sopravvivere le intere 24 ore.

Il primo risultato è che, a differenza del coma termico, l’acclimatazione precedente al congelamento non ha influenza. Alcune api muoiono già a -2°, mentre a -6° quasi nessuna sopravvive. L’esposizione al freddo per mezz’ora o per un’ora produce risultati simili, mentre un’esposizione di 3 ore la mortalità tra -3° e -5° è molto maggiore rispetto alle esposizioni più brevi. Questo suggerisce che sono all’opera processi cumulativi

 

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Le tabelle sono riprodotte per gentile consenso dell’Editore, Wiley, e non possono essere ulteriormente riprodotte.

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