Ventilazione e umidità invernale nell’arnia

Ventilazione e umidità invernale nell’arnia

Il metabolismo delle api comporta la produzione di acqua: esse infatti convertono zucchero (miele) + ossigeno + acqua in energia + CO2 + acqua; più precisamente, la trasformazione avviene nelle seguenti proporzioni: 1 molecola di zucchero + 6 molecole di acqua + 6 molecole di ossigeno –> 6 molecole di anidride carbonica + 12 molecole di acqua + calore + 36 molecole di ATP (energia accumulata, che viene usata per far vibrare i muscoli delle ali e produrre ulteriore calore). In totale il calore liberato da una mole di glucosio (circa 180 g) = 673’000 calorie. Ma ogni grammo di zucchero convertito in energia produce 0.6 g di acqua. Durante l’inverno, quando le api devono riscaldare la loro attività metabolica cresce: mangiano di più, in maggiore misura quanto più è freddo. E mangiando di più, producono più acqua.

Per l’apicoltura pratica questo pone il seguente dilemma: per eliminare l’umidità in eccesso, occorre ventilare l’arnia. D’altra parte, ventilando si raffredda l’ambiente, costringendo le api a scaldare maggiormente e dunque a produrre più acqua (e consumare più risorse). Il problema non è solamente l’acqua che evapora, ma quella che le api sono costrette a ritenere nel proprio intestino quando non possono uscire a defecare.

Toomema e altri (Determining the amount of water condensed above and below the winter cluster of honey bees in a North-European ClimateJournal of Apicultural Research 52(2): pp. 81-87, 2013) che qui seguiremo (con l’avvertenza che il loro argomento fa riferimento a climi nordici, quindi molto freddi: i dati sono raccolti in Estonia, tra il 2000 e il 2004), riportano che alcuni ricercatori hanno ridotto la ventilazione chiudendo l’entrata dell’arnia e portando le colonie all’interno, con il risultato che il consumo di cibo(-15%)  e la mortalità delle api sono diminuiti, e che la quantità di acqua nell’intestino delle api era minore rispetto al gruppo di controllo del 15% in media, con punte fino al 37%, e la ripresa in primavera è stata più veloce con la covata più estesa del 54% (il riferimento è a due studi russi: Perepelova, 1947, e Michailov, 1964).

Esperimenti più recenti hanno mostrato come quando si abbassa la temperatura esterna, l’umidità relativa dell’arnia si riduce: nelle parti dell’arnia non occupate dalle api passa dal 79% a -10° al 67% a -22° (Eskov 1995).

Tuttavia la gestione dell’umidità da parte delle api non è stata studiata a fondo, una lacuna che lo studio di Toomema e altri cerca di colmare.

La conversione di 1 g di zucchero in energia produce, in linea teorica, 0.68 g di acqua. Un’intera colonia può dunque produrre fino a 3-5 g di acqua all’ora, mentre una colonia invernata all’interno o coibentata produce attorno ai 2-3 g di acqua. Tuttavia si è rilevato che tra inverni molto caldi e inverni molto freddi non ci sono variazioni significative di consumo di cibo.

In questa ricerca si cerca di stabilire quanta acqua effettivamente evapori da un glomere, e dove si vada a condensare. Pe questo scopo sono stati piazzati dei condendatori (una lamina fredda di metallo) sopra e/o sotto il glomere, raccogliendo l’aqua condensata in bottiglie. I nostri fondi antivarroa assolvono la medesima funzione.

Risultati: i condensatori situati sotto il glomere catturano molta più acqua di quanto non facciano quelli sopra; l’umidità, dunque, tende a spostarsi verso il basso. I ricercatori ipotizzano che la circolazione dell’aria e dell’umidità avvenga dapprima verso l’alto, per convezione. L’aria calda cede parte del suo calore alle api più in alto nel glomere, e finisce per raggiungere il coperchio dell’arnia (o del condensatore, se presente), dove inizia a raffreddarsi. Il continuo flusso di calore prodotto dal glomere continua a spingere aria verso l’alto, obbligando dunque quella ormai più fredda a scendere in basso lungo le pareti dell’arnia o lungo i favi non occupati dalle api, cedendo loro parte del calore residuo. Alla fine l’aria finisce per uscire dalla porta dell’arnia, allo stesso tempo lasciando entrare nuova aria fresca. Quando le due correnti si incontrano, la temperatura dell’aria in discesa diminuisce ulteriormente, e accresce la sua umidità relativa (nell’aria più fredda si ‘scioglie’ una minore quantità di acqua, come mostrano le nebbie basse invernali).

È stato accertato che in estate le api accelerano attivamente questo movimento, attivandosi per ventilare 2-4 volte al minuto durante il giorno e una volta ogni 2 minuti durante la notte, coordinando il loro ritmo di inspirazione e espirazione. Durante l’inverno, i ricercatori ipotizzano che questo ritmo diminuisca.

La quantità di acqua raccolta dai condensatori è nettamente minore di quanto ci si dovrebbe aspettare dato il consumo di cibo. Mediamente le api esaminate consumavano 7.2 Kg di miele per ogni inverno, a cui dovrebbero corrispondere 4.9 kg di acqua prodotta. I condensatori ne hanno invece raccolta solo 445 g. RImangono oltre 4.5 kg di acqua da eliminare: l’evaportazione elimina dunque solo circa il 10% dell’acqua prodotta dal metabilismo delle api, che devono dunque liberarsene con altri mezzi: defecando, o allevando covata.

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