Perché le api allevano larve in inverno? (1)

Perché le api allevano larve in inverno? (1)

Il lavoro di Jeffree (vedi Covata invernale in clima temperato (1)) e di Möbus (Covata invernale in clima temperato (2)), che rileva la presenza di covata durante buon parte dell’inverno, almeno a intermittenza, e che rivela che il comportamento di ciascuna famiglia è specifico anziché dipendere in modo uniforme dalle condizioni ambientali, pone il problema teorico di capire cosa induca una colonia di api a riprendere l’ovodeposizione.

Il problema è reso più urgente da due altre osservazioni effettuate da Möbus. Nei suoi esperimenti sull’estensione della covata, Möbus aveva anche ingabbiato alcune regine per impedire che iniziassero a deporre. Il risultato è stato invariabilmente che le api hanno sviluppato una dissenteria.

Inoltre Möbus aveva anche provato, ripetendo un esperimento di Jeffree, a costituire delle super-colonie, unendo prima dello svernamento col metodo del giornale due forti colonie, per verificare il detto che la migliore isolazione per una famiglia di api sono altre api. Il risultato è stato che in occasione del primo volo di depurazione, dopo 3-4 settimane al chiuso, moltissime api sono uscite e nonostante il clima relativamente caldo ci sono state delle perdite disastrose. L’analisi di laboratorio delle api morte ha dimostrato che erano disidratate, e si stavano dunque recando a cercare acqua.

Questo suggerisce che non solo la termoregolazione ma anche la gestione dell’acqua sia un grosso problema che le api devono risolvere. Mangiando miele, le api producono come prodotto di scarto delle quantià consistenti di acqua, 0.6 g per ogni g di glucosio trasformato in energia, alla quale bisogna aggiungere l’umidità naturale del miele, acqua di cui si devono liberare (vedi Ventilazione e umidità invernale nell’arnia per una descrizione del processo chimico di trasformazione). In un articolo intitolato “A new theoretical winter cluster model” (in Apimondia, The XXVII-th international congress of apiculture. Athens, 1979, Bucarest: Apimondia, 1980, pp. 286-289), Möbus propone un modello che risolve alcuni nodi fondamentali delle spiegazioni precedenti del funzionamento del glomere.

La teoria precedente suggeriva che il calore del glomere sia prodotto unicamente al centro, grazie alla normale attività di metabolizzazione delle api che trasformano il miele in energia, e che questo calore fosse trasmesso per conduttività alle api che costituivano lo strato isolante esterno del glomere. Le api all’interno e all’esterno del glomere si scambiano periodicamente il posto, in una sorta di comportamento altruistico da parte delle api all’interno che cedono il posto. Möbus mette in evidenza diversi problemi in tale spiegazione. 1) Il manto esterno del glomere non può essere allo stesso tempo isolante e conduttivo di calore; 2) al centro del glomere non c’è cibo a disposizione delle api; il miele si trova invece a portata delle api all’esterno del glomere. 3) Le api non hanno un sistema nervoso che permetta loro di capire, dall’interno del glomere, come siano le condizioni all’esterno, e viceversa. 4) Le misurazioni esistenti non rivelano che il metabolismo al centro del glomere, con corrispondente consumo di ossigeno e produzione di anidride carbonica, sia maggiore che in periferia.

Si noti che ricerche più recenti confermano la rilevanza del problema evidenziato da Möbus (v. per esempio temperatue esterne e termoregolazione del glomere): nel corso del consumo dei circa 7 Kg di miele che servono a una colonia per svernare (in Estonia), si producono oltre 5 litri d’acqua, di cui solo una piccola parte viene dispersa per evaporazione mentre il resto viene conservato nell’intestino delle api per poter essere eliminato in un giorno di bel tempo.

Möbus parte dunque dall’assunzione che le api scaldino in proporzione al freddo che sentono: più in periferia, meno al centro. Al centro, dove è caldo, c’è una forte evaporazione di acqua: tutta quella che producono le api al cuore del glomere evapora, e anzi le api si disidratano. Al contrario, alla periferia del glomere dove è più freddo c’è meno evaporazione, e le api sono costrette ad accumulare grandi quantitativi di acqua nel loro intestino. La situazione è poco confortevole per entrambe. Gli scambi di posizione avvengono quando le api del centro muovono verso la periferia per una ‘bevuta metabolica’, mentre le api in periferia si spostano al centro per perdere un po’ di umidità. Non è dunque questione di altruismo, ma di ricerca individuale di compensazione di un eccesso, e rispettivamente carenza, di liquido.

Möbus argomenta poi che solo in un popolo di dimensione ideale si può mantenere l’equilibrio idrico del glomere nel suo insieme, anche se continuamente ci sono scompensi in eccesso o in difetto nelle api individuali. Lo stato ottimale è appunto definito dalla possibilità di rimanere in equilibrio. Naturalmente l’equilibrio perfetto è solo un caso, anche perché la dimensione del popolo si riduce col passare dei mesi.

Quando un popolo è più grande della situazione ottimale, si verifica una condizione di disidratazione, come nel caso delle ‘supercolonie’. Se le api possono uscire regolarmente a bere, la cosa non è problematica. Ma se si verificasse un periodo prolungato di freddo, potrebbero verificarsi delle morie quando le api escono a cercare da bere in momenti poco opportuni.

Al contrario, quando un popolo è più piccolo della dimensione ottimale, si verifica un surplus di acqua. Di nuovo questo non è un problema se le api possono uscire regolarmente a defecare, ma diventa problematico in caso di freddi prolungati, quando potrebbero verificarsi delle dissenterie. Anche in caso di freddo intenso, quando il glomere si compatta e le api sono costrette a produrre più calore, si può verificare la medesima situazione.

Le ai hanno trovato una soluzione al problema della sovraidratazione: l’allevamento di larve. Da un lato, la produzione di pappa reale per le larve assorbe una parte dell’acqua in eccesso; dall’altro, l’aumento della temperatura al centro causa una maggiore evaporazione, e permette di liberarsi di altra acqua. L’allevamento di larve, dunque, non è un pericoloso sfizio che le api si concedono, ma ha un valore di sopravvivenza per il glomere. Questo spiega perché blocchi artificiali della regina possano si traducano in casi di dissenteria. E spiega anche perché spesso la covata cessi per qualche giorno all’inizio della primavera: quando le api possono uscire per i voli purificatori, per qualche tempo non hanno più la necessità di allevare covata.

Si possono dunque identificare circostanze alle quali è più probabile che la covata riprenda presto. Quando l’umidità ambientale è elevata, l’evaporazione è sfavorita, ed è quindi probabile che la covata riprenda presto. Mieli più umidi, come per esempio quello di erica, favoriscono anch’essi una ripresa precoce della covata. Di popoli piccoli già si è detto; lo stesso vale per popoli che rimpiccioliscono al di sotto della soglia ottimale in seguito alle normali perdite di api nel corso della stagione. Inoltre quando il freddo invernale diventa più serio, tra il solstizio invernale e i ‘giorni della merla’, più colonie si trovano in condizione subottimale (non è dunque l’allungarsi delle giornate che dà lo stimolo alle api, ma il freddo). Vi sono poi delle razze di api meglio isolate (più pelose) di altre, e anche questo influisce sul momento della ripresa della covata.

L’applicazione di materiali isolanti alle arnie è un’arma a doppio taglio. Le famiglie di dimensione ottimale o più forti hanno bisogno di inverni freddi e di una buona ventilazione, per poter produrre più umidità di quanta ne evapori. Il rischio è che muoiano per disidratazione, se si verificano periodi prolungati nei quali non possono uscire a bere. Viceversa le famiglie al di sotto della dimensione ottimale, quelle poco prolifiche e i nuclei possono trarre vantaggio da uno strato isolante.

 

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