Api a temperature invernali estreme

Api a temperature invernali estreme

Nell’articolo Studio termometrico sul comportamento del glomere abbiamo riassunto le misure effettuate da Owen (1971) non solo su glomeri di api a temperature invernali rigide ma naturali, ma anche su api refrigerate a condizioni estreme, con temperature fino a -55°C.

Edward D. Southwick ha spinto gli esperimenti, con metodologie simili, ancora oltre i limiti precedenti (Cooperative metabolism in Honey Bees: an alternative to antifreeze and hibernation, Journal of Theoretical Biology vol. 12: 2, pp. 155-158, 1987). L’autore ha utilizzato colonie di api in casse Langstroth a due corpi nell’inverno 1983-84 a Kirchain in Germania, o piccole famiglie con la loro regina sistemate in casse da nucleo, lasciate acclimatare 14 giorni dopo una gestione estiva secondo le pratiche apistiche correnti nella zona. Ogni arnia era dotata di una griglia di termocoppie ogni 2 cm nello spazio tra i due telaini centrali. Le colonie sono state messe a temperatura controllata a partire da 5°C. Nelle ore successive la temperatura è stata abbassata di 10°C per volta, lasciando un intervallo di 3 ore tra una riduzione e l’eltra per dare il tempo alle api di sistemarsi come meglio credessero; l’abbassamento è avvenuto riducendo di 2°C ogni minuto, arrivando a -80°C, la portata massima del refrigeratore. Alle arnie era garantitao il ricambio di aria, e l’aria in uscita era analizzata per misurarne il contenuto di ossigeno e anidride carbonica.

Le api hanno risposto al progressivo abbassamento della temperatura compattando il glomere per ridurre le perdite di calore, e aumentando la produzione di calore metabolico. Nella discesa delle temperature, il punto in cui l’effetto protettivo del compattamento del glomere era massimo è stato a 0°C, sia per le colonie più grandi che quelle più piccole. A quella temperatura, una piccola famiglia di 1300 api (150 g) manteneva una produzione di calore di 110.8 Watt per chilo di api, mantenendo una temperatura di 25°C al centro del glomere. Man mano che la temperatura si abbassava per raggiungere i -48.6°, la temperatura al centro del glomere è scesa a 18°C per 12 ore. Senza abbassare ulteriormente la temperatura ma semplicemente esponendovi le api piu a lungo, le api alla periferia del glomere hanno lentamente iniziato a morire, mentre le api rimanenti continuavano a produrre calore a 110 W al chilo. Questo sembrerebbe dunque il massimo del calore che un glomere di quella dimensione è in grado di produrre.

Famiglie più grandi (13-16’000 api) non hanno mai raggiunto una tale produzione di calore, anche se avevano covata. Il più grande dei glomeri, con covata al suo centro, produceva 54 W al chilo anche a una temperatura di -80°per 12 ore, mantenendo una temperatura di 34° al centro del glomere e una temperatura periferica di 9° (una differenza di 114°C). Questa temperatura è rimasta essenzialmente costante da +2° a -80°.

Il picco di produzione di calore è stato raggiunto da un piccolo glomere a -55°: 193.6 W al chilo, che è grossomodo metà del calore prodotto da un’ape in volo.

La capacità isolante del glomere è limitata: una volta raggiunto il massimo della compattezza, le api sono costrette a scaldare di più per mantenere una temperatura ragionevole alla periferia (7-9°C) e al centro (18-33°C). Visto che il tasso metabolico dei glomeri più grandi era ancora parecchio distante da quanto raggiunto dai glomeri più piccoli, l’autore ne conclude che le api avrebbero margine per resistere a temperature ancora più basse, probabilmente con un differenziale tra temperatura mantenuta all’interno del glomere e temperatura esterna pari o addirittura a quanto può fare un’oca canadese, che maniene 40° di temperatura corporea a -90°C per almeno un’ora.

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