Metafore delle crisi in prospettiva storica


Questa pagina offre un’analisi grafica dell’uso di alcune espressioni figurate sviluppatesi a partire dalle metafore per descrivere le crisi nate nell’Ottocento.


Molte metafore per rappresentare le crisi o particolari stati dell’economia sono state usate tanto spesso e con tale successo da essere diventate espressioni figurate di uso abbastanza comune. La presenza stessa di tali espressioni, e la loro frequenza d’uso, testimoniano dell’esistenza di una metafora che, all’origine, era chiamata a svolgere un ruolo ben preciso. Tale funzione naturalmente viene persa dall’espressione stessa, poiché cadono tutte le sfumature presenti nell’originale. Si pensi per esempio all’espressione ‘tempesta finanziaria’: se è chiaro che è possibile in qualche modo equiparare le crisi alle tempeste, non è per nulla evidente quali delle caratteristiche delle tempeste sono trasferite alle crisi: il carattere improvviso e distruttivo, o le loro proprietà rigenerative (v. articoli 2 e 3)?
Un interessante strumento di analisi della frequenza del ricorrere di parole o espressioni nella letteratura è fornito da Google; permette di vedere come alcune di queste espressioni compaiano, raggiungano un apice nell’uso, per poi declinare dopo qualche tempo, e a volte risorgere. La rappresentazione grafica dei risultati illustra quali riferimenti metaforici siano stati favoriti nel corso del tempo, riflettendo in parte le preferenze degli autori che usano queste espressioni, e in parte gli approcci al problema delle crisi che predominavano in un’epoca piuttosto che in un’altra.
Prima di presentare i risultati qualche parola sullo strumento. Google n-grams analizza la frequenza con cui compare qualsiasi parola o espressione (fino a un massimo di sei parole) entro un campione di oltre 5 milioni di libri nella collezione di Googlebooks, che corrispondono al 4% circa di tutti i libri pubblicati al mondo (l’intera collezione Google consiste in circa 15 milioni di libri in varie lingue), per un totale di 500 miliardi di parole: in inglese (361 miliardi), tedesco (37 miliardi) francese e spagnolo (45 miliardi ciascuno) e altre lingue (l’italiano è stato inserito nel 2012, ma per l’oggetto che stiamo analizzando è poco significativo). I dati affidabili coprono il periodo dal 1800 al 2000; prima del 1800 il campione è ristretto (in parte perché i libri pubblicati sono pochi, in parte perché sono difficili da far leggere a un software), dopo il 2000 il campionamento subisce una variazione, in seguito anche all’invenzione di Googlebooks. Sfortunatamente i dati si fermano al 2008: per il nostro scopo sarebbe estremamente interessante vedere come il linguaggio ha trattato la crisi e la conseguente depressione dal 2007 in poi. Il software confronta i termini che si vogliono analizzare con il totale delle espressioni di uguale lunghezza nel database, ne calcola la frequenza d’uso anno per anno, e la presentata in forma grafica. La pagina offre anche i link ai libri nei quali si trovano le espressioni ricercate. Lo strumento è stato sviluppato per fornire i dati per un’analisi quantitativa dei cambiamenti culturali (per esempio la discussione di certi temi piuttosto che di altri), ma anche l’evoluzione della grammatica (per esempio le declinazioni dei verbi) e delle scelte terminologiche.
Torniamo alle nostre espressioni figurate, cominciando dalla famiglia di locuzioni più usata, che si riferisce alle maree e alle ondate di marea (Fig. 1). L’espressione ‘marea di prosperità’ (tide of prosperity) è stata molto in uso durante tutto l’Ottocento. Al suo picco, verso il 1820, la sua frequenza era dello 0.000009%. Ciò significa che ricorreva mediamente circa una volta ogni 11 milioni di triplette di parole, cioè grossomodo una volta ogni 95 libri. Con l’inizio del Novecento l’uso dell’espressione inizia a declinare gradualmente. Tra il 1920 e il 1940 viene superata in frequenza dall’“ondata di prosperità”, che trova un contraltare nell’espressione “ondata di depressione”, la quale raggiunge il suo culmine poco dopo la conclusione della crisi del 1929–32. L’espressione “flusso e deflusso del commercio” (ebb and flow of trade. ‘trade’, però, ha un significato più ampio di ‘commercio’, è quasi equivalente ad ‘affari’) compare occasionalmente nei libri del diciannovesimo secolo, e più frequentemente nella prima metà del novecento. È più rara nell’inglese americano.



Fig. 1: Ondate e maree
fig01

N-grams delle espressioni “marea di prosperità”, “flusso e deflusso del commercio”, “ondata di prosperità”, “ondata di depressione”, inglese britannico, lisciatura = 2.




Seguono in popolarità diverse espressioni elaborate a partire da metafore meteorologiche (articoli 2 e 3). Le due usate più spesso sono ‘financial storm’ (soprattutto al singolare, a indicare che viene riferita ad una sola crisi anziché ad un discorso più generale sulla natura delle crisi) e ‘economic storm’ (sia al singolare che al plurale). Quest’ultima espressione è stata più impiegata della precedente a partire dagli anni trenta del Novecento, ad indicare che l’enfasi è più generale rispetto a quella specifica sugli aspetti finanziari delle crisi. Va notato tuttavia che con la ‘crisi delle dot.com’ nel 2000 l’espressione ‘financial crisis’ è tornata in auge invertendo una tendenza che perdurava dalla grande crisi degli anni trenta, superando di nuovo l’espressione ‘economic crisis’. Si noti come negli Stati Uniti (Figura 2) l’enfasi sull’aspetto finanziario delle crisi, soprattutto tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e la grande crisi del 1929-32, è stato sottolineato in modo molto più marcato di quanto non sia avvenuto invece in Gran Bretagna (figura 3). In entrambi i paesi, comunque, i picchi di uso di ciascuna espressione si trovano a ridosso dell’occorrere di crisi economiche o finanziarie. Al suo massimo (1884) negli USA ‘financial storm’ è stato usato una volta ogni 191 libri pubblicati.

Fig. 2: Tempeste (inglese americano)
fig2

“tempesta finanziaria” e “tempesta economica”, al singolare e al plurale, inglese americano, lisciatura = 1



Fig. 3: Tempeste (inglese britannico)
fig03

“tempesta finanziaria” e “tempesta economica”, al singolare e al plurale, inglese britannico, lisciatura = 2


Un’ulteriore particolarità che distingue l’inglese americano è la presenza di numerose espressioni alternative, che fanno capo a fenomeni più coloriti (vedi Fig. 4): turbini (massimo corrispondente alla crisi del 1914), cicloni (massimo attorno al 1890), tempeste (tempest si traduce ‘tempesta’ come ‘storm’, ma è più turbolenta e ventosa; massimo nel 1884), e uragani (massimo nel 1937).

Fig. 4: Vari fenomeni meteorologici
fig04

“tempesta finanziaria” “tempesta commerciale”, “turbine finanziario, “tornado finanziario”, “uragano finanziario” e “ciclone finanziario”, inglese americano, lisciatura = 2


L’espressione ‘tempesta finanziaria’ si trova anche in francese. Ricorre in modo occasionale, solitamente in occasione di crisi significative: negli anni instabili tra il 1830 e il 1850, attorno alla crisi di Gurney del 1866, la crisi del 1883, e ancora nel 1923, 1929, 1979, 1984, 1998 e 2001. In quest’ultima occasione, l’espressione è stata utilizzata mediamente una volta ogni 430 libri pubblicati. Nella seconda metà del Novecento si parla anche di ‘tempesta monetaria’, soprattutto nel 1971 (cessazione della convertibilità del dollaro in oro) e in occasione degli attacchi speculativi contro il franco francese nel 1993.

Fig. 5: Tempesta finanziaria e monetaria (francese)
fig05

“tempesta finanziaria”, “tempesta monetaria”, francese, lisciatura = 0


Per le espressioni che si rifanno ai terremoti si nota di nuovo una caratteristica già rilevata per le tempeste (figura 6). In un primo periodo, tra il 1830 e il 1860, l’attributo preferito dei terremoti è ‘commerciale’, sempre al singolare. Si inizia poi a parlare di ‘terremoto finanziario’ (occasionalmente anche al plurale) e infine di ‘terremoto economico’, sia al singolare che al plurale (indice questo di una riflessione più generale sul fenomeno), a partire dalla grande crisi dei primi anni trenta del Novecento. L’uso di queste espressioni scema a partire dal secondo dopoguerra, senza però mai scomparire.

Figura 6: Terremoti
fig06

“terremoto finanziario”, “terremoto commerciale”, “terremoto economico”, inglese generale, lisciatura = 1


Le esplosioni sono un caso interessante, in cui la medesima immagine evoca effetti completamente diversi a seconda che sia applicata alla finanza oppure all’intera economia. Nella Figura 7 si vedono i risultati complessivi per l’inglese, ma le esplosioni finanziarie e commerciali sono pressoché estranee al linguaggio britannico e si confinano a quello statunitense. Un’esplosione finanziaria si riferisce a collassi del sistema speculativo, con picchi dopo la crisi del 1857, attorno alla crisi di Overend Gurney (1866), la crisi americana del 1873, di nuovo quella del 1883, per poi scemare e ricomparire nell’ultimo decennio del ventesimo secolo. L’esplosione economica e degli scambi, termini che compaiono nel secondo dopoguerra, si riferiscono invece alla crescita economica e all’ampliarsi degli scambi. L’esplosione commerciale ha verosimilmente significati opposti quando evocata dopo la crisi del 1857 e alla fine del Novecento.

Figura 7: Esplosioni
fig07

esplosione finanziaria, commerciale, economica e degli scambi, inglese generale, lisciatura = 1


L’immagine del vortice, usata per esprimere sia il crescere a spirale della speculazione e del debito che il cadere a spirale nella rovina e nella bancarotta, è stata usata relativamente poco, e principalmente nel corso dell’Ottocento (figura 8). A partire dal primo Novecento praticamente scompare, salvo un piccolo rigurgito nei primi anni del terzo millennio. È interessante notare come nelle fasi di preparazione delle crisi, e a volte nel periodo immediatamente successivo al loro esplodere (1843–47, 1855–57, 1864-67, 1875–78), al crescere della speculazione si parli sempre più spesso di ‘vortice della speculazione’, e qualche volta si menzioni anche il ‘vortice del debito’ in cui sono intrappolati tutti gli operatori economici (1844–46, 1866–67, 1874-76). Si scrive invece degli individui che cadono nel ‘vortice della rovina’ dopo lo scoppio delle crisi, in particolare quelle del 1837, 1847, 1857, 1866, 1883. Dei ‘vortici della bancarotta’ si parla a volte prima e a volte dopo la crisi, probabilmente immaginandone e rispettivamente descrivendone le conseguenze.

Figura 8: Vortici
fig08

vortice della speculazione, della rovina, del debito e della bancarotta, inglese generale, lisciatura = 1


Il riferimento al gioco d’azzardo mostra significative differenze tra inglese britannico e americano. In entrambi i casi, tutte le espressioni che si riferiscono al gioco mostrano picchi d’uso vicini all’epoca delle crisi, solitamente precedendole. Negli Stati Uniti il termine più impiegato è ‘stock gambling’, nel quale si specifica che l’azzardo riguarda i titoli di borsa. I picchi, approssimativamente della medesima altezza, corrispondono alle crisi del 1873, 1907, 1914, 1929 (nonostante vi fosse stato un panico nel 1893, il massimo di frequenza nell’uso dell’espressione è stato nel 1889). Simile, e appena meno frequente, l’uso dell’espressione ‘gambling in stocks’ (non rappresentata nel diagramma, per evitare di accavallare troppe linee). In corrispondenza delle crisi del 1819 e 1847 si preferivano rispettivamente le espressioni ‘gambling speculation’ e ‘commercial gambling’. L’enfasi sugli azzardi speculativi è poi andata scemando nel secondo dopoguerra, curiosamente senza riprendere slancio con le crisi finanziarie di inizio millennio (figura 9).

Fig. 9: Azzardo speculativo (inglese americano)
fig09

“azzardo sui titoli”, “speculazione d’azzardo”, “azzardo speculativo”. “azzardo commerciale”, inglese americano, lisciatura = 1


In Gran Bretagna l’espressione preferita è stata ‘gambling speculation’, il cui massimo è stato raggiunto nel 1870. Il riferimento esplicito alle speculazioni sui titoli è solo occasionale, nel 1847, prima della crisi del 1857 e alla fine della prima guerra mondiale, mentre ha più successo l’espressione ‘commercial gambling’, con un picco all’inizio della crisi del 1836 (dopo il 1980, il termine cambia significato, e si riferisce alle case da gioco gestite commercialmente). Dopo gli anni sessanta del novecento il riferimento al gioco cade in disuso anche in Gran Bretagna, con solo una leggera ripresa nel 2008 (figura 10).

Fig. 10:Azzardo speculativo (inglese britannico)
fig10

“azzardo sui titoli”, “speculazione d’azzardo”, “azzardo speculativo”. “azzardo commerciale”, inglese britannico, lisciatura = 1



Oltre alle metafore che abbiamo visto in questa serie di articoli, nella descrizione delle crisi ha avuto una notevole rilevanza anche la metafora medica. Val la pena citare qualche espressione derivata da questa famiglia, iniziando dal termine stesso ‘malattia’ (fig. 11). Anche in questo caso lo troviamo associato in un primo tempo al commercio (‘malattia commerciale’), poi alla finanza, nel primo Novecento si parla di ‘malattia degli scambi’, mentre nel corso del Novecento si parla più generalmente di ‘malattia economica’. Come per le espressioni precedenti, negli anni del boom economico del secondo dopoguerra le economie sembravano sempre meno malate, salvo scoprire le malattie e l’espressione ad esse associate alla fine del secolo. Significativamente, il picco si tocca con la grande crisi del 1929-32.

Figura 11: Malattia
fig11

malattia commerciale, degli scambi, economica e finanziaria, inglese generale, lisciatura = 1


Il caso della ‘febbre speculativa’, espressione che ricorre in diverse varianti e che rappresentiamo in immagine nelle tre più frequenti, è interessante per la evidente differenza d’uso tra gli inglesi (fig. 12) e gli americani (fig. 13). Nonostante in certe epoche prevalga una delle tre espressioni (‘febbre di speculazione’, ‘mania speculativa’, ‘febbre speculativa’) piuttosto che un’altra, in generale sia in America che in Inghilterra le fluttuazioni sono sincrone. Ovviamente i momenti in cui più spesso si parla di febbri speculative sono quelli in cui la speculazione è rampante, cioè nella fase in cui maturano le crisi, e eventualmente subito dopo quando si disserta sulle cause della crisi stessa. In Gran Bretagna l’uso di queste espressioni ha il suo picco nella seconda metà dell’Ottocento, quando evidentemente si stava tracciando in modo solido il nesso tra speculazione e crisi. I picchi nella letteratura si rilevano attorno alle crisi del 1825–26, 1836–39, 1847, 1857, 1866, 1878, 1887. Nel Novecento l’uso declina lentamente, con picchi nel primo dopoguerra, negli anni trenta e attorno al 1970. Negli Stati Uniti il declino dell’espressione è più tardivo: il culmine si raggiunge con la crisi del 1929, ad indicare l’importanza che nella letteratura americana si attribuiva alla speculazione nella causazione di questo evento.

Fig.12: Febbre speculativa, inglese britannico
fig12

“Febbre di speculazione”, “mania speculativa”, “febbre speculativa”, inglese britannico, lisciatura = 2




Fig.13: Febbre speculativa, inglese americano
fig13
“Febbre di speculazione”, “mania speculativa”, “febbre speculativa”, inglese americano, lisciatura = 2

L’immagine della follia è talvolta evocata in espressioni figurate, soprattutto in inglese americano e in modo piuttosto erratico (figura 14). Significativamente queste espressioni compaiono dopo il 1850, quando —nella ‘prospettiva delle crisi ricorrenti’— si è iniziato a vedere negli eccessi speculativi la causa prima delle crisi. Nel Novecento l’uso di queste espressioni ha iniziato a declinare, di nuovo con una ripresa all’epoca della crisi delle dot.com nel 2000-01.

Fig. 14: Follia (inglese americano)
fig14

“follia finanziaria”, “pazzia finanziaria”, “infermità mentale finanziaria” e “pazzia commerciale”, inglese americano, lisciatura = 1



Riferimenti

Google N-grams offre una breve descrizione del suo funzionamento. Per qualche interessante esempio di possibili analisi culturali a partire dagli n-grams si veda J.-B. Michet et al., “Quantitative analysis of culture using millions of digitized books”, Science, 14 gennaio 2011. Nel supplemento online dello stesso articolo vi sono i dati sui libri inclusi nel corpus, dai quali risulta che i libri in lingua inglese hanno un dimensione media di circa 300 pagine, per un totale di circa 116’000 parole per libro, con leggere differenze tra inglese britannico e americano. Questi dati sono stati impiegati per calcolare con che frequenza i termini compaiono nei libri; i risultati sono approssimativi, poiché ovviamente nel corso degli anni la lunghezza media non è fissa.
I grafici possono presentare dei gradi di ‘lisciatura’, nel senso che anziché presentare i dati grezzi anno per anno (lisciatura = 0), ciascun anno riporta la media dei dati di quell’anno e di uno o più anni precedenti. Più si ‘liscia’, meno evidenti sono i picchi ma diventano meglio visibili le tendenze; qui si è scelto il grado di lisciatura che più sembrava adatto a cogliere certe caratteristiche di ciascun particolare gruppo di espressioni, ma i lettori possono naturalmente sperimentare da sé altre combinazioni.